Gabriella Verna é nata a Muralto, Locarno, Ticino, Svizzera da Giuseppe Luigi Verna, originario di Fara San Martino (Abruzzi, Italia) e Nelly Angelica Ferrario originaria di Bellinzona, (capitale del Ticino).
Fu proprio sulle sponde del Lago Maggiore, che il vecchio Dante, ferroviere di mestiere e amico della famiglia, credendo di far bene, portò fin dalla prima infanzia, la piccola Gabriella, la domenica mattina, sulla sua barca a remi, a pescare. Non avendo avuto figli, voleva farne, chissà poi perché, un pescatore. Ma Dante fu presto deluso da quella ragazzina troppo sensibile che, ogni volta che lui prendeva un pesce, lo pregava in ginocchio, singhiozzando, di liberarlo. Urlando come una forsennata (la si sentiva fino a Milano): - Cattivo! Cattivo! Sei solo un cattivo vecchiaccio! -
Dopo tre mesi di infruttuosi tentativi di istillare nella piccola, le dure leggi della pesca con amo, Dante, esausto, vi rinunciò definitivamente e riportò quella che lui definiva bambinuccia troppo sensibile, a Nelly e Giuseppe.
Fu probabilmente da queste prime avventure lacustri che Gabriella, Gibi per i familiari, sviluppò la sua feroce avversione per la pesca, la caccia, la corrida e la vivisezione tout court.
Fin da piccola Gabriella era appassionata sopratutto dalla sua bicicletta nera, dai suoi libri e dagli animali. Il suo più grande piacere, non era tanto di andare a scuola, ma era di camminare per ore intere, sulle sponde del fiume Maggia, fischiettando. Sì, perché Gibi fischiettava (e fischietta tuttora). Un fischio potentissimo e melodico. Prima bambina fischiettante di quella regione così conservatrice, dove quel privilegio, il fischiettare, era concesso soltanto agli uomini. La si vedeva ogni giorno sulle sponde di quel meraviglioso fiume, accompagnata dal suo fedele compagno. Un cagnolino color miele, di nome Gughi, che la piccola aveva comperato una domenica mattina, da certi zingari che volevano mangiarlo. Papà Giuseppe infatti, la mandava ogni domenica mattina alla stazione, a comperare il Corriere della Sera, che lui definiva, il suo vangelo. Quella domenica, che papà Giuseppe non dimenticò più, Gabriella rientrò a casa senza soldi, senza Corriere della Sera, ma con bel cucciolotto che si rivelò molto speciale ! Un cagnolino, con già una forte personalità, come la sua padroncina d'altronde e che divenne celebre molto infretta. Adorarava infatti mordere il sederino di tutti i postini di Locarno, che poverini, tentavano disperatamente di entrare nel giardino di Casa Verna, per portare semplicemente la posta quotidiana.
Gibi era dunque una ragazzina come nessun'altra, Sempre vestita di nero, pedalava decisa per le vie di Locarno, sulla sua bicicletta nera, con un’aria concentratissima, per via della forte miopia (27 diotrie all'occhio destro e 27 all'occhio sinitro) e per via naturalmente della circolazione. Sul suo portabagagli, il suo cagnolino e Journal d’une jeune fille rangée, di Simone de Beauvoir e L’Existentalisme est un humanisme, di Jean-Paul Sartre. Con grande disappunto dei suoi genitori, Nelly e Giuseppe, che cominciavano a non capir più nulla della loro Gibina ! Gibi infatti, amava sopratutto leggere libri, la solitudine e la compagnia del suo cane. Gli studi non la interessavano più di tanto. Non era completamente indifferente ai suoi compagni di scuola, no, ma preferiva la compagnia del suo piccolo quadrupede.
Un giorno i suoi genitori brutalmente, decisero di porre fine alle sue meravigliose passeggiate con il suo cagnolino e tentarono una nuova via, quella dell'educazione autoritaria. Una mattina d'autunno, triste e piovosa, la mandarono, senza il suo cane, senza la sua bicicletta e senza i suoi libri, in un convento di suore cattoliche. L'Istituto Santa Maria di Bellinzona. Per fortuna fu ancora una volta un fallimento dal punto di vista pedagogico. Dico per fortuna. Le suore si rivelarono infatti, particolarmente sadiche con la giovanissima allieva. Gabriella una notte dovette infatti respingere le avances odiose di Suor Fatima, che si era introdotta nella sua camera, con intenti poco raccomandabili... Mamma Nelly, venne in suo soccorso immediatamente e, molto scioccata dalla pedagogia poco frequentabile dell'Istituto, ritirò la sua Gibina da quel luogo di perdizione. Ponendo fine nello stesso tempo alle sue convinzioni religiose. Le urla di Mamma Nelly e di suo padre, Nonno Gerolamo, Capo della Polizia Cantonale, nell'ufficio della direttrice del convento, Suor Beata, (che di beato non si sà bene cosa avesse) e che cercava disperatamente di insabbiare la vicenda, fecero non solo tremare le mura di quell’Istituto, ma di tutta la regione!
Gibi, non troppo turbata da questa oscura vicenda, (mamma l’aveva salvata in tempo), fu felicissima di ritornare a casa. Non sarebbe più stata separata dal suo cane, dalla sua bicicletta, dal suo maglione nero e dai suoi libri. Trionfante, per festeggiare il suo ritorno a casa, si comprò una sciarpa rossa in cashemire, che sventolò al suo collo, dal giorno del suo ritorno, come una bandiera sovietica, mentre pedalava, di nuovo felice, sulla sua bicicletta nera, per le vie di Locarno.
La sua carriera scolastica, lo avrete dunque capito, fu relativamente disastrosa. Ma la piccola Gibi, poteva contare sull' amore infinito di tre donne eccezionali che, qualsiasi cosa facesse, la proteggevano con simpatia. A cominciare da Ada Abita, sua zia, soprano alla Scala di Milano e allieva di Toscanini. Ada le aprì con la sua voce, la sua forte personalità e la sua passione per la sua carriera, un esempio straordinario di volontà e di tenacia. Nonna Giuseppina Conti e mamma Nelly, (che tutte e due raccoglievano e curavano animali maltrattati), un'esempio straordinario di amore per gli animali e per la natura
I suoi genitori é vero malgrado non capissero un granché della loro bambina, l'amavano profondamente, per cui a quindici anni le permisero (la sua insistenza li aveva forse esauriti) di frequentare la sera, i salotti letterari di sinistra della Svizzera Italiana. I salotti Salati-Brivio, i salotti rossi di Lugano, che a quei tempi erano considerati luoghi di perdizione, terribilmente pericolosi. Gibi fece amicizia con gli architetti ticinesi Luigi Snozzi, Mario Campi, Peppo Brivio, Laura Salati. Si formò alle idee dell'editore Giangiacomo Feltrinelli, Nanni Filippini, Vinicio Salati. La giovane Gibina, passava interminabili serate, in salotti pieni di fumo e di alcolici (lei che non fumava e non beveva, se non aqua minerale). Salotti dove si leggevano testi, apparentemente, terribilmente importanti, e dove si parlava dello stato del mondo, fino alle quattro del mattino. Ma fu l'incontro a Milano con il designer e architetto italiano Bruno Munari, a darle la voglia, il coraggio e la tenacia di continuare a disegnare.
Disperatamente esaurite ormai, tutte le possibilità che l'istruzione pubblica ticinese poteva offrire alla loro adolescente, vale a dire niente, Nelly e Giuseppe in uno slancio di generosità e tenerezza, la mandarono a studiare lontano da quella provincia addormentata. A Ginevra, alla Scuola di Belle Arti. Lì e ancora una volta il suo passaggio fu particolarmente notato. Allieva relativamente mediocre, (appena la media, per non essere buttata fuori), la Signorina Verna, scappava per la maggior parte del tempo dai corsi, per fare l'autostop fino a Parigi, Marsiglia, Berlino. Felice di visitare musei, gallerie d’arte. Felice di incontrare e di assaporare il vento nuovo delle grandi capitali.
Furono infatti quei viaggi, quegli incontri e soprattutto e ancora oggi, le ore, ore e ore passate a disegnare, che l'hanno veramente formata.
Per questa ragione, sollecitata molto spesso da giovani studenti delle scuole d'arte, o da giovani talenti incompresi, che le domandano di fare uno stage nel suo Atelier Baci di Luna, che Gabriella Verna li accoglie con entusiasmo. Con una tenerezza particolare per i giovani ai quali non si presta mai abbastanza attenzione. Perché fuori dal coro, dalle righe. Perché semplicemente diversi. Quelli che ingiustamente come facevano con lei, gli adulti chiamano con disprezzo, Asini !
Gli Asini, gli animali più meravigliosi della terra!
« Il mondo non sarà distrutto da quelli che fanno il male, ma da quelli che li quardano senza muovere un dito » (Albert Einstein)